Contributo di Paolo G. Fontana per la rubrica “Il favonio”
Nel Canton Zurigo si contano oltre 85’000 persone di lingua madre italiana, come l’intero Canton Sciaffusa o due volte Uri; nei Cantoni di Vaud e di Argovia essi sono più di 35’000, nel Canton Berna oltre 30’000, a Ginevra oltre 27’000, nei due cantoni di Basilea altri 25’000… Tra loro vi sono anche molti bambini e ragazzi che frequentano le scuole, ma nei loro piani di lezione non si troverà una qualche ora in cui possano perfezionare, per così dire, le conoscenze della lingua da loro parlata in casa. A questo scopo, per chi lo desidera, esiste però da tempo un’offerta di corsi di lingua e cultura d’origine («HSK – Heimatliche Sprache und Kultur»).
Un rapporto di recente pubblicato su incarico dell’Ufficio federale della cultura afferma che oggi «vi è poca chiarezza circa le attività svolte dai cantoni concernenti il tema della HSK» e che in questo campo «negli ultimi anni possono essere registrati tendenzialmente più passi indietro che progressi». Ciò che il rapporto non tiene in considerazione, per quanto riguarda i corsi d’italiano (chiamiamoli «corsi ISK»), è però che la loro esistenza non dipende oggi principalmente né dalla Confederazione né dall’attività di promozione e coordinamento dei Cantoni, ma dai fondi erogati dall’Italia agli enti che si occupano di gestire i corsi e assumere la maggior parte dei docenti. A causa dei progressivi tagli finanziari e di nuove onerose norme amministrative, negli ultimi anni in diverse parti della Svizzera questi «corsi ISK» sono così stati dimezzati (p. es. da quattro a meno di due ore settimanali), in altri sono stati sospesi o cancellati di fronte alla prolungata impossibilità di pagare gli stipendi. Se la politica nella vicina Penisola ama sventolare la bandiera del «made in Italy» (sic), il destino incerto dei «corsi ISK» in Svizzera e in altri paesi del mondo ci mostra che spesso alle molte roboanti parole corrispondono pochi fatti. Una soluzione da parte italiana, per quanto mi è dato sapere, ancora non si profila all’orizzonte…
Ma l’italiano non è solo una lingua dell’Italia! Se – lo dice il rapporto commissionato dall’UFC – questi corsi non sono più, come in passato, orientati ad agevolare un possibile ritorno degli emigrati nella patria d’origine, ma perseguono il fine di «mantenere la molteplicità delle lingue e delle culture in Svizzera e creare un ponte tra le regioni linguistiche», non dovrebbe la Svizzera stessa farsi carico di questa offerta, soprattutto quando si tratta di una delle sue lingue nazionali?
Già temo che se a tale domanda seguirà nei fatti una risposta, questa arriverà soltanto tra molti anni. L’obiettivo di adottare un «piano d’azione per la promozione del plurilinguismo e delle lingue e culture d’origine» inserito per volontà del Parlamento nel programma di legislatura 2019-2023 non è stato realizzato, ma almeno qualche passo è stato compiuto. Come evidenziato da un recente atto parlamentare di Anna Giacometti, della ripresa di tale obiettivo nel programma di legislatura 2023-2027, sorprendentemente, non si fa però alcun cenno. L’elaborazione e implementazione di una strategia globale per la promozione del plurilinguismo e delle lingue e culture d’origine rischia dunque di essere soltanto una bella serie di parole cui non è destinato a seguire nessun fatto?